Per una Pedagogia del Desiderio
Nell’ambito del Festival delle Donne e dei Saperi di Genere, che si è svolto dal 3 al 20 marzo 2015 a Bari, Maria Rosa Sossai ha tenuto il laboratorio Per una Pedagogia del Desiderio, all’Accademia di Belle Arti di Bari, coinvolgendo un gruppo di studentesse (e studenti).
Le studentesse, dopo aver letto alcuni testi -il manifesto delle Guerrilla Girls, Per una Pedagogia del Desiderio dell’artista Gina Pane e la Lettera numero 20 di Maria Rosa Sossai, , hanno riflettuto insieme sulle pratiche e sui modelli educativi alternativi proposti da queste artiste e sui significati e le cause della discriminazione di genere e non solo. Presa maggiore coscienza della quantità di volte in cui sono state direttamente o indirettamente coinvolte in meccanismi di discriminazione, le studentesse sono state invitate a reagire alla condizione di persone discriminate attraverso il mezzo artistico. Divise in tre gruppi, le studentesse hanno creato altrettante azioni, che sono state messe in atto nel corridoio centrale dell’Accademia.
Dopo avere letto le istruzioni ho chiesto alle studentesse se nella loro Accademia ci fossero, secondo loro, episodi di discriminazione di qualsiasi tipo. Le studentesse hanno risposto di no. Solo successivamente alcune di loro, alla mia domanda se secondo loro la maternità è ancora una forma di discriminazione per le donne, hanno riflettuto sul fatto evidente che in alcuni casi può esserlo per artiste, critiche e curatrici d’arte, le quali spesso rinunciano a una carriera che le porterebbe lontano da casa e dai figli oppure si autocensurano.
I tre gruppi che si sono costituiti hanno creato altrettante azioni che si sono svolte nel corridoio centrale dell’Accademia.
In tutte le performance le studentesse hanno il viso coperto: un gruppo ha gli occhi bendati e sul petto la forma di una mano stilizzata di cartoncino rosa, come un piccolo esercito di guerriere cieche decise a vendicarsi al grido corale di No! Un’immagine archetipica. La vista è volontariamente preclusa e per questo motivo la voce è ancora più potente ed evocativa.
Il secondo gruppo indossa delle maschere di cartone appoggiate al viso e anche in questo caso il viso è nascosto, loro però rimangono silenziose. Forse una forma di salvaguardia a protezione di qualcosa di prezioso anche se invisibile.
Il terzo gruppo ha nascosto la testa dentro delle buste di carta bianca con dei buchi per gli occhi e il disegno elementare della bocca. In tutti i casi si assiste a un’opera di sottrazione allo sguardo pubblico oppure si tratta di una forma di mascheramento simile a quello dei gruppi militanti.
Maria Rosa Sossai
Fotografie di Giuseppe Magrone
Lettera 20
La lettera numero 20 è indirizzata a Giovanna Zapperi, storica dell’arte e borsista a Villa Medici, che ha collaborato con l’artista Chiara Fumai in occasione della quinta edizione del Teatro delle Esposizioni svoltosi a Villa Medici il 28 e 29 maggio.
Cara Giovanna,
è stato per me immediato il desiderio di scriverti quando alla sala cinema Michel Piccoli di Villa Medici Chiara Fumai, su tuo invito, ha eseguito la performance Taci, anzi parla tratta dal libro della critica d’arte e femminista Carla Lonzi. Ho trovato appropriata e coerente la tua scelta di testimoniare il pensiero di Carla Lonzi su cui stai scrivendo un libro, con l’azione di un’artista in grado di mettere in scena un tema così complesso ed estremamente attuale come la questione di genere. Durante il nostro successivo incontro mi hai parlato della tua attività di insegnante presso la Scuola Nazionale Superiore d’Arte di Bourges. Concordo con te quando affermi che insegnare non significa tanto trasmettere un insieme di informazioni e di nozioni, ma piuttosto dare possibili chiavi di lettura della storia o dei rapporti sociali fornendo un quadro metodologico ed epistemologico, una “cassetta degli attrezzi” per pensare l’arte nelle sue molteplici articolazioni. Una delle cose che ti stanno più a cuore è l’insegnamento gender-oriented perché coinvolge sia il metodo che l’oggetto dell’insegnamento. Sei convinta che non si può insegnare la Storia dell’Arte così come ce l’hanno trasmessa senza riprodurre delle strutture sessiste! Quanto al metodo una delle questioni attuali riguarda la dinamica collettiva di una classe, e in particolar modo la presa di parola: come fare per evitare che siano sempre i ragazzi a parlare? Perché le ragazze sono in genere intimidite, non hanno il coraggio di alzare la mano, non fanno domande, autolimitandosi in modo così evidente nel processo di apprendimento? In ogni situazione didattica hai visto ripetersi queste dinamiche e tentato di costruire delle discussioni più circolari, anche se non è stato facile. Per fortuna ci sono delle iniziative coraggiose come quella condotta da un collettivo di tue studentesse della scuola d’arte di Bourges che hanno reso visibile un problema presente in alcune scuole d’arte in Francia, ovvero la normalizzazione di atteggiamenti sessisti e omofobi da parte di alcuni docenti ai quali lo status conferisce il potere di spezzare o promuovere la carriera di persone più giovani di loro. Le studentesse hanno quindi deciso di sollevare questo problema che è tutt’ora un tabù, soprattutto tra le ragazze che spesso non sanno come difendersi. La denuncia di questa condizione di strisciante oppressione ha utilizzato la performance artistica come strumento di liberazione e presa di coscienza dei propri diritti. Così il giorno in cui si svolgeva la riunione dei membri del Consiglio di Amministrazione il collettivo ha sparso confetti rosa su cui erano scritte frasi sessiste e omofobe, udite negli atelier e in classe. Nel pomeriggio invece è stato attivato l’allarme anti incendio, in modo da costringere studenti, docenti e personale a riunirsi nel cortile principale e ascoltare una voce neutra che recitava gli insulti scritti sui confetti. Quello che questa azione insegna è quanto l’arte possa rendere giustizia a chi è oggetto di discriminazione sessuale.
Maria Rosa Sossai
Estratto da: Per una Pedagogia del Desiderio, di Gina Pane
L’insegnamento che vorrei proporre è in sintonia con l’evoluzione della società perché prepara i giovani al cambiamento e li mette in grado di assumersi le loro responsabilità, consapevoli dell’insicurezza che incontreranno nel momento del loro inserimento professionale.
La relazione tra insegnante e studente è fondamentale; affinché la pedagogia sveli la sua vera natura, il docente deve avere una fiducia incondizionata nell’individuo e nel gruppo. Non desidero fondare il mio insegnamento sul Discorso ma, al contrario, sulla presa di coscienza della realtà scientifica concretamente vissuta, e sulla sperimentazione di temi, all’interno dei quali gli studenti potranno liberamente scegliere mezzi e supporti che a loro sembreranno più utili per esercitare la loro creatività.
E’ importante favorire la fioritura di ciascun individuo affinché possa sentire l’esperienza adeguata al suo livello. Un’esperienza che deve arricchirlo e contribuire a farlo progredire verso se stesso e verso la sua unità.
Desidero anche avviare una profonda riflessione sulla nocività del costruire e fabbricare delle “ricette artistiche” prive di creazione personale (che si giustificano unicamente su un’analisi storica dei contenuti delle creazioni altrui).
È importante che nel rapporto tra chi insegna e chi apprende non si dimentichi mai che ogni individuo possiede una sua propria originalità e che la sua esperienza non è mai riducibile a quella degli altri. Così come non bisogna mai utilizzare un metodo di insegnamento fondato sul compromesso. È soltanto a questo prezzo che chi apprende può realmente sviluppare la comunicazione e prendere coscienza dei propri limiti.
Il clima di una classe deve respirare la solidarietà autentica in funzione di un dialogo aperto, di un confronto critico, di una riflessione tra chi insegna e chi apprende affinché la loro relazione non sia vissuta come esclusiva o alienante. Gli studenti dovranno comprendere che il Maestro non è un modello ma uno strumento del loro proprio modello.
Manifesto delle Guerrilla Girls
I vantaggi di essere una donna artista
Lavorare senza la pressione del successo.
Non dover essere in spettacoli con gli uomini.
Avere una fuga dal mondo dell’arte nei vostri 4 lavori free-lance.
Sapere che la vostra carriera potrebbe salire dopo gli ottanta anni.
Essere rassicurate sul fatto che qualsiasi tipo di arte si faccia sarà etichettata come femminile.
Non essere bloccata in un posto di insegnante di ruolo.
Vedere le vostre idee vivere nel lavoro degli altri.
Avere la possibilità di scegliere tra la carriera e la maternità.
Non dover soffocare con quei grandi sigari o dipingere in abiti sartoriali italiani.
Avere più tempo per lavorare quando vi scaricano per qualcuna più giovane.
Essere incluse in versioni riviste della storia dell’arte.
Non dover subire l’imbarazzo di essere chiamata un genio.
Avere la vostra immagine nelle riviste d’arte con addosso un costume da gorilla.
The advantages of being a woman artist
Working without the pressure of success.
Not having to be in shows with men.
Having an escape from the art world in your 4 free-lance jobs.
Knowing your career might pick up after you’re eighty.
Being reassured that whatever kind of art you make i twill be labeled feminine.
Not being stuck in a tenured teaching position.
Seeing your ideas live on in the work of others.
Having the opportunity to choose between between career and motherhood.
Not having to choke on those big cigars or paint in Italian suits.
Having more time to work when you mate dumps you for someone younger.
Being included in revised versions of art history.
Not having to undergo the embarrassment of being called a Genius.
Getting your picture in the art magazines wearing a gorilla suit.
Le Guerrilla Girls sono un collettivo femminista fondato a New York nel 1985 da un gruppo di artiste e attiviste che intendono boicottare il mondo dell’arte costituito da maschi. Denunciano un maschilismo diffuso nel mondo dell’arte e i dati da loro presentati sono eloquenti: al MOMA, su 169 artisti invitati a una mostra di pittura il 100% sono bianchi e le donne meno del 105. Lo stesso accade negli altri musei. Le Guerilla Girls utilizzano tutti gli strumenti della comunicazione per arrivare al grande pubblico: manifesti, poster, flash mob, lettere ai direttori dei musei. Sono delle attiviste che disturbano il mondo dell’arte anche per il mistero sulla loro identità. Appaiono con delle maschere di gorilla.